Dall' astronomia alla matematica Londra riscopre le donne scienziate

Sara Sesti

 


Mary Somerville

 

 

Fondata nel 1660 per discutere le idee del filosofo Francis Bacon, la Royal Society non è solo l' accademia delle scienze inglese e una delle confraternite di scienziati più antiche e prestigiose del mondo: è anche, e soprattutto, il simbolo della scienza intesa come progresso umano, come costante avanzamento della società in cui viviamo. Ma c' è un campo in cui l' illustre istituto londinese è avanzato poco, tardi e male per gran parte della sua storia: quello della parità dei sessi. La lista dei suoi cervelloni, da Isaac Newton in poi, è un elenco maschile, come se fossero stati soltanto gli uomini a scrivere la storia delle scoperte e della sperimentazione.

Solo nel 1945, in effetti, la Royal Society ha emendato le proprie norme ammettendo le donne fra i soci (prima fece un' eccezione per la regina Vittoria, nominata membro onorario). Nelle celebrazioni per il 350esimo anniversario della sua fondazione, fra i tanti seminari, mostre e pubblicazioni che hanno festeggiato l' evento, risaltava una vistosa assenza: quella delle scienziate, sebbene ora nelle sue file ce ne siano 60 su 1200 membri, tra cui l' italiana Rita Levi Montalcini.

Non si tratta di semplice dimenticanza o indifferenza. Uno storico inglese, Richard Holmes, il primo a ottenere libero accesso agli archivi della Royal Society, ha portato alla luce una politica di deliberata discriminazione nei confronti delle donne e di occultamento del loro ruolo. C' erano anche delle scienziate, studiose di matematica, astronomia, botanica e altre discipline, nell' era del grande progresso scientifico: ma i loro colleghi uomini, a dispetto dell' ambiente illuminato dell' accademia delle scienze, facevano di tutto per sminuirne il valore e tenerle nascoste.

Giunge dunque come atto riparatore il libro di Holmes, The lost women of Victorian science (Le donne dimenticate della scienza vittoriana), pubblicato nel 2010 in Gran Bretagna. Nell' Inghilterra vittoriana, il concetto di donne impegnate nella ricerca scientifica veniva regolarmente ridicolizzato, scrive l' autore. Un famoso studioso del tempo, il naturalista Thomas Henry Huxley, soprannominato "il bulldog di Darwin", così scriveva nel 1860 a un collega geologo: «I cinque sesti delle donne si fermano allo stato evolutivo delle bambole, degradando qualsiasi cosa in cui si intrufolano».

Gli unici settori in cui veniva tollerata la loro presenza erano la geologia e la botanica, sebbene quest' ultima fosse giudicata dai puritani moralmente pericolosa, a causa dell' esame degli apparati sessuali delle piante. Molti scienziati, ha appurato Holmes frugando negli archivi, condividevano il luogo comune secondo cui il cervello femminile sarebbe "fisiologicamente inadatto" al lavoro scientifico, alle procedure di laboratorio, alla matematica. In realtà era adatto, eccome. Da Caroline Herschel, l' astronoma scopritrice di comete, ad Ada Lovelace, la matematica autrice dell' algoritmo poi considerato il primo "programma per computer", da Anna Barbauld, la chimica che notando le reazioni ai test di laboratorio scrisse il primo trattato sui diritti degli animali, a Jane Marcet, autrice dei primi manuali scolastici per popolarizzare la chimica e la botanica, da Mary Sommerville, che coniò il temine "scienziato", a Margaret Cavendish, autrice del primo racconto di fantascienza, le donne diedero un contributo fondamentale allo sviluppo della scienza, afferma il librodenuncia dello storico.

Un contributo riassumibile nelle parole dell' astronoma Maria Mitchell: «Anche la scienza ha bisogno di immaginazione. In essa non c' è solo matematica e logica, ma pure bellezza e poesia». Un uomo, da solo, non ci sarebbe mai arrivato